– Il Kendo deve essere soprattutto divertimento. Voi vi siete divertiti? Perché se voi non vi divertite non mi diverto neanche io!
Così ci ha lasciato Miyato Sensei sabato sera (18 gennaio 2025) alla fine della prima giornata di stage organizzato dal Koshikan di Angela Papaccio e tenutosi al palazzetto dello sport di Sesto Fiorentino.
Quello raccontato da Miyato è un Kendo ‘leggero’ ed elegante, fatto di attenzione ad ogni particolare e ad ogni singolo momento e movimento. Dove leggerezza non è sinonimo di inconsistenza ma attenzione a quel ‘buon feeling’ che il nostro compagno deve percepire quando lo colpiamo. La nostra spada è sempre lì che fluttua nell’aria, senza gravità, e noi non dobbiamo fare altro che accoglierla fra le nostre mani con la stessa scioltezza che ha un giocatore di basket mentre fa sobbalzare su e giù il suo pallone. Con la rigidità tutto ritorna pesante. La palla perde colpi, la shinai si pianta dolorosamente sul corpo di chi ci sta di fronte.
Ma il suo è anche un Kendo dove l’allegria è un atteggiamento costante. Miyato sorride sempre, scherza e trasforma una lunga ‘lezione’ in un grande gioco collettivo dove lo scopo è portarsi a casa un nuovo mattoncino da collocare su quelle fondamenta che ognuno di noi cerca di consolidare alla base della propria pratica.
Il focus della giornata è la mano sinistra, un suo vecchio ‘cavallo di battaglia’ (vedi Lo Stage di Miyato Sensei del 2018) ma questa volta l’attenzione non è sul movimento bensì sulla posizione.
Lo scopo, come sappiamo – tanto nel jigeiko quanto nello shiai – è la conquista del centro. E il centro si ottiene se la mano sinistra rimane sempre ben salda sotto l’addome, lì dove spingiamo anche il nostro respiro. Il fulcro dell’energia che si concentra in un punto e che da la spinta a tutto il corpo che avanza.
Nei Suburi che Miyato ci mostra quindi la respirazione con il naso precede l’esecuzione del colpo: non respiriamo mentre solleviamo la shinai, non mentre ci accingiamo a colpire. Sempre e soltanto prima. L’aria che teniamo nell’addome si collega così alla mano sinistra che, in ogni tipologia di colpo si ‘dissalderà’ dalla sua posizione il più tardi possibile, solo un attimo prima di diventare tsuki.
Avanziamo diritti con tutto il corpo come se cercassimo di comprimere quella ideale “camera d’aria” che si crea fra noi e il nostro compagno/avversario. Come se avanzassimo su di un binario immaginario da cui non deragliare mai.
In questo modo possiamo costruire un kendo ‘pulito’ e ‘composto’, senza fretta ma con attenzione ad ogni particolare. Su quel binario avanza il nostro corpo, lo sguardo è sempre negli occhi – monomi dentro monomi – parte il nostro colpo, passa il nostro kiai e realizziamo l’unità del Ki Ken Tai. Ma siamo ancora sul binario, e abbiamo l’obbligo di rimanerci: ci giriamo e quello è il momento in cui dobbiamo verificare che ogni cosa ritorni all’ordine: lo zanshin, la posizione, la postura, la respirazione e, soprattutto la mano sinistra salda dov’era prima di iniziare l’azione. Tutto è come dev’essere? Allora possiamo ripartire! Anche mille volte, ma sempre avanti e indietro sullo stesso binario, sempre con l’attenzione a tutto ciò che abbiamo detto, ad ogni check point. E così, anche se novecentonovantanove non saranno a segno, saranno comunque sempre i nostri colpi migliori.
– Fare Kendo è un susseguirsi di errori. Fino ad arrivare magicamente al colpo giusto. Risponde Miyato a qualcuno che gli chiede come fare a prevedere le mosse dell’avversario.
Nella pratica del Kendo – come forse in molti altri aspetti della vita – ci sono dei momenti in cui ci si rende conto che si è fatto uno ‘scatto in avanti’: all’improvviso il tuo corpo prende coscienza di un modo a cui prima non era riuscito a dare forma. E questo accade quando quella forma diventa sostanza acquisita, e il pensiero movimento indipendente.
Non me ne sono reso conto subito. Ho avuto questa percezione quando, tornati nel nostro dojo abbiamo provato a mettere tutto questo nella nostra pratica. A fine serata, la sensazione era che, tutto ciò che avevo visto pochi giorni prima, si fosse calato su di me diventando l’abito che adesso indossavo, una sorta di pelle nuova sovrapposta a quella già esistente, in grado di rafforzarla e restituirle un’energia inaspettata. È come se quella conquista del centro, di cui parlavamo, diventasse la conquista di un proprio nuovo centro personale che sì, serve al nostro kendo, ma che ci fa camminare più diritti ogni giorno anche fuori dai nostri dojo.
E, perché no?!, anche cercare quel divertimento in ogni piccola cosa che facciamo.
Per la foto di copertina si ringrazia Emilio Basile di Koshikan Firenze e Angela Papaccio per la collaborazione.
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